Seconda Parte
capitolo 1
†
48.000 piedi sopra il mar Caspio,
6 settembre, ore 12.05
Due ore all'atterraggio.
Gray guardava fuori dei finestrini del Bombardier Global Express XRS. Le ore scorrevano rapidamente mentre il jet privato sfrecciava nel cielo. Durante il viaggio, il sole di un nuovo giorno era sorto sopra di loro e aveva ripreso a calare alle loro spalle. Sarebbero atterrati in riserva, viaggiando oltre la velocità del suono. Il jet era stato donato alla Sigma dal miliardario e finanziatore aeronautico Ryder Blunt per i servigi resi in passato. Due piloti dell'aeronautica degli Stati Uniti spingevano i motori al massimo per arrivare a destinazione entro metà pomeriggio, ora locale.
Gray rivolse di nuovo l'attenzione al gruppo riunito intorno a un tavolo di tek. Aveva concesso a tutti sei ore di riposo, ma la maggior parte sembrava sfinita. Kowalski teneva ancora il sedile completamente reclinato, russando a tempo coi motori. Gray non vedeva ragione di svegliarlo. Avrebbe fatto bene a tutti un po' di sonno in più.
Concentrata sul dossier sotto i suoi occhi, l'unica persona che non mostrava segni di stanchezza era la nuova venuta nel loro piccolo gruppo. Esperta di neurologia e neurochimica, le stesse discipline di Archibald Polk, non c'era da stupirsi che Painter avesse assegnato quel membro della Sigma alla loro squadra.
La dottoressa Shay Rosauro era un po' più alta della media, aveva la carnagione caffellatte, gli occhi ambra scuro che risplendevano di pagliuzze dorate e una fervida intelligenza. I capelli corvini che le arrivavano alle spalle erano tirati indietro e tenuti fermi da un foulard nero. Aveva prestato servizio nell'aeronautica e, a giudicare dal suo curriculum, avrebbe potuto pilotare quel jet da sola. Indossava persino una camicia militare con un cinturone nero sopra un'uniforme kaki e stivali.
E, sebbene Gray non avesse mai lavorato con lei, sembrava che conoscesse Kowalski. Era rimasta di stucco quando lo aveva visto arrivare. L'uomo l'aveva salutata con un largo sorriso e un forte abbraccio, e poi era salito a bordo dell'aereo. Seguendolo, lei aveva ricambiato Io sguardo di Gray con un'espressione incredula dipinta sul volto.
Era giunto il momento per Gray di aggiornare la squadra prima dell'atterraggio in India, soprattutto riguardo alla persona che stavano per incontrare. «Elizabeth, che cosa puoi dirci del dottar Hayden Masterson? A quale titolo tuo padre collaborava con questo professore di Bombay?» Lei annuì, nascose uno sbadiglio dietro la mano e infine inforcò un paio di occhiali. «In verità, proviene da Oxford. È uno psicologo e fisiologo specializzato in tecniche di meditazione e attività cerebrali. Ha passato in India gli ultimi trent'anni, studiando i maestri di yoga e i mistici.» «Una ricerca parallela a quella di tuo padre.» «So del lavoro di Masterson», interloquì la dottoressa Rosauro. «E brillante, ma eccentrico, e alcune delle sue teorie sono controverse. E stato uno dei primi studiosi a sostenere la teoria della plasticità del cervello umano, all'inizio molto criticata ma oggi largamente accettata.» «Cosa intendi con 'plasticità'?» domandò Gray.
«Be', fino a pochi anni fa, la neurologia seguiva un vecchio dogma secondo cui il cervello umano era programmato biologicamente, e ogni sezione serviva a un unico scopo. Una sola area per una sola funzione. Perciò, negli ultimi vent'anni, l'obiettivo della neurologia è stato quello di tracciare una mappa funzionale di ogni area del cervello. Dove risiede il linguaggio, quale zona del cervello gestisce l'udito, quali neuroni stabiliscono il mancinismo, o controllano l'equilibrio. Ma ora sappiamo che il cervello non è programmato, che le mappe neurali sono modificabili, alterabili. In altri termini, plastiche. È questa flessibilità funzionale che spiega perché le vittime di ictus cerebrali sono in grado di recuperare l'attività motoria degli arti paralizzati dopo un danno al cervello. Il cervello si rimappa da solo, stimolando nuove connessioni tra i neuroni che circondano l'area danneggiata.» Elizabeth annuì. «II dottor Masterson stava estendendo le sue ricerche ai maestri di yoga. Studiando l'abilità di questi mistici di controllare il metabolismo e il flusso sanguigno, cercava di dimostrare che il cervello non solo è modificabile, ma anche addestrabile. Che la plasticità del cervello è plasmabile.» La dottoressa Rosauro si appoggiò allo schienale. «Con la possibilità di sfruttare questa plasticità, si apre un mondo nuovo per i neurologi. Aumentare l'intelligenza, aiutare i ciechi a vedere, i sordi a udire...» Gray ripensò all'apparecchio che aveva trovato sul teschio. I sordi a udire. Il dispositivo sembrava una specie di impianto cocleare. Si rivolse a Elizabeth. «II dottor Masterson ha riferito quando ha visto tuo padre l'ultima volta?» «II professore mi ha detto che mi avrebbe parlato, ma che prima voleva sentire le persone che avevano assunto mio padre. Sembrava spaventato. Non sono riuscita a ottenere altro da lui.» «Assunto?» Rispose Luca Hearn, l'ultimo membro del gruppo, con un accento romano più marcato per via della stanchezza. «Dal nostro clan. Siamo stati noi ad assumere Polk.» Gray si girò verso l'uomo. Prima di atterrare, aveva intenzione di discutere il ruolo dei romani in quella vicenda. Troppe domande erano rimaste senza risposta dalla fuga dal rifugio. Come, per esempio, per quale motivo Polk aveva scelto di contattare Luca invece di qualcun altro. Era stata paranoia? Il professore era convinto di non potersi fidare di nessun altro? Tenuto conto che il suo assassinio era stato seguito dal sospetto intervento degli agenti del suo governo, forse il dottor Polk non aveva torto. «Come siete entrati in contatto col professore?» «Ci ha contattati lui due anni fa. Voleva raccogliere i campioni di DNA di alcuni membri dei nostri clan. Quelli che praticavano la pen dukkerin.» «Pen cosa?» Kowalski aveva smesso di russare, ma continuava a tenere gli occhi chiusi. «Dukkerin. La predizione del futuro. Sai, leggere la mano, guardare nella sfera di cristallo.» Luca annuì. «È una tradizione del nostro popolo, antica di secoli, ma Polk non voleva nessuno che praticasse Yhokkani boro: il grande imbroglio.» «Ciarlatani», spiegò Kowalski.
«Polk sapeva che fra i nostri clan c'erano quelli che rispettavamo per la loro abilità in quest'arte. I rari. I chovihani. Quelli che hanno il dono. Lui cercava quelli.» Elizabeth si raddrizzò. «Mio padre stava facendo la stessa cosa coi maestri di yoga in India. Prelevava campioni di DNA, in cerca di una caratteristica comune.» Gray rammentò che Polk cercava quei rari casi di persone che dimostravano un intuito o un istinto superiore. La predizione del futuro e la lettura dei tarocchi facevano al caso suo. Ma l'aspetto genetico era qualcosa di nuovo. «Perché abbandonare all'improvviso lo studio dei maestri di yoga per i romani? Qual era il legame?» Luca lo fissò come se avesse posto una domanda stupida. «Da dove credi che provenga la popolazione romano?» Toccò a Gray restare interdetto. In effetti, non sapeva un granché di quelle popolazioni nomadi, e sicuramente non ne conosceva le origini.
Luca notò la sua espressione confusa. «Pochi conoscono la nostra storia. Quando i nostri primi clan migrarono in Europa, si riteneva che provenissimo dall'Egitto.» Fregò il dorso della mano sul volto color bronzo. «Per via della pelle scura, degli occhi scuri. Eravamo chiamati aigyptioi o gyptians, da cui derivò in seguito l'appellativo di gypsies. Fino a non molto tempo fa, nemmeno i nostri clan erano sicuri delle nostre origini. Ma i linguisti hanno scoperto di recente che la lingua romani ha radici nel sanscrito.» «La lingua dell'India antica», disse Gray, che ora cominciava a intuire il legame.
«Proveniamo dall'India. È quella la nostra amaro baro them, la nostra terra ancestrale. India del Nord, per l'esattezza, la regione del Punjab.» «Ma perché siete migrati?» domandò Elizabeth. «Da quel che so della vostra storia, avete avuto una vita travagliata in Europa.» «Una vita travagliata? Siamo stati perseguitati, braccati, sterminati.» L'uomo alzò la voce, alterandosi. «Siamo morti a centinaia di migliaia per mano dei nazisti, costretti a portare il triangolo nero. Bengesko niatnso!» Le ultime parole erano chiaramente una maledizione indirizzata ai nazisti. Luca scosse la testa, recuperando la calma. «In realtà, nemmeno gli storici sanno dire con certezza perché i clan abbandonarono l'India. Da antichi documenti, sappiamo che le popolazioni romani fuggirono dall'India intorno al X secolo, attraversando la Persia fino all'impero bizantino e oltre. L'India nordoccidentale era dilaniata dalla guerra a quel tempo. Inoltre, l'India aveva adottato un rigido sistema di caste. Quelli che si trovavano all'ultimo posto, i cosiddetti 'fuori casta', erano indicati come intoccabili. Vi erano compresi ladri, musicisti, guerrieri disonorati, ma anche maghi, quelli che possedevano abilità ritenute sacrileghe dalle religioni locali.» «I vostri chovihani.» Luca annuì. «La vita divenne insopportabile, rischiosa. Perciò i fuori casta si unirono in clan e abbandonarono l'India, diretti a ovest, verso terre più accoglienti.» Sbuffò, amareggiato. «Le stiamo ancora cercando.» «Torniamo al dottar Polk», disse Gray. «Avete collaborato su richiesta del professore? Gli avete fornito i campioni?» «Sì. Un pagamento in sangue. In cambio del suo aiuto.» «Per aiutarvi in cosa?» La voce dell'altro s'accese di nuovo. «Per trovare qualcosa che ci è stato rubato con brutalità. Il cuore stesso del nostro popolo. Noi...» L'aereo sobbalzò con violenza. I bicchieri si sollevarono in aria, così come Kowalski, che si liberò dalla coperta con un grido di stupore. Gray, assicurato alla poltrona dalla cintura, sentì lo stomaco balzargli in gola. Persero quota di colpo.
Dall'interfono giunse la voce del pilota. «Scusate tutti per l'accaduto. Forti turbolenze in arrivo.» L'aereo intero fu sconquassato.
«Allacciate bene le cinture», proseguì il pilota. «Atterreremo tra un'ora. E, comandante Pierce, abbiamo ricevuto una telefonata dal direttore Crowe. Gliela passo.» Gray fece cenno di andare tutti a sedersi ai propri posti. Kowalski aveva raddrizzato lo schienale e stava allacciando la cintura di sicurezza.
Girando la poltrona di spalle agli altri, Gray sollevò il telefono dal bracciolo e lo portò all'orecchio. «Comandante Pierce.» «Gray, ho pensato di aggiornarti su quanto scoperto da Lisa e Malcolm sull'apparecchio fissato al teschio.» Mentre ascoltava il direttore parlare di microelettrodi e autistici savant, Gray guardò fuori del finestrino. Seguì con gli occhi il sole a ovest mentre il jet sfrecciava a est. Ripensò al visetto della bambina, alla sua fragilità, alla sua innocenza.
Perlomeno era al sicuro.
Ma Gray era tormentato da una domanda.
Ce ne sono altri come lei?